di Cosimo Perrotta
Katia Caldari e Tamotsu Nishizawa sono i curatori dell’ultimo libro (lasciato incompiuto alla sua morte: 1924) di Alfred Marshall, quello sul progresso economico (1). Il vasto manoscritto, pubblicato qui in modo completo per la prima volta, si presenta a diversi livelli di elaborazione, dai meri appunti di qualche capitolo alla stesura completa di altri. All’importanza di questa prima edizione organica si aggiunge il prezioso apparato di note, richiami e riferimenti dei curatori, la loro presentazione generale e quelle che hanno premesso ai tre libri del manoscritto.
Tutto questo forma una fittissima rete di rimandi ad altri testi di Marshall, spesso molto significativi, ai pareri espressi dai suoi contemporanei e agli approfondimenti dei maggiori studiosi di Marshall sui vari problemi trattati. Questo eccellente lavoro filologico ci fornisce un quadro complessivo dell’atteggiamento di Marshall verso il progresso economico; un tema in cui l’autore rivela le sue motivazioni ideali più profonde.
In che consiste in sostanza, secondo Marshall, il progresso economico? Coerentemente con i suoi Principi di economia (1890), l’autore non mette al centro la crescita economica né l’aumento della ricchezza materiale. Base e scopo finale del progresso è quella che oggi chiameremmo la crescita del capitale umano, ma anche la crescita del capitale sociale. Il progresso cioè è una maturazione degli individui, la quale – sebbene richieda una consistente base di ricchezza materiale e di progresso tecnico – si realizza soprattutto come crescita culturale e morale.
Il grande motore di questo processo di crescita è l’istruzione (education), intesa come studio e specializzazione, ma anche come educazione delle proprie facoltà morali e del corretto rapportarsi agli scopi della comunità. L’istruzione e la conoscenza accrescono la produttività del lavoratore, aumentano la stima di se stesso e gli conferiscono dignità. Esse possono far uscire gli operai manuali dal loro stato di trascuratezza, di rozzezza di costumi e intellettuale e dar loro uno scopo.
Marshall non disgiunge mai in questa prospettiva di crescita del capitale umano l’aspetto produttivo da quello conoscitivo e mai separa questi dalla crescita morale. Egli è talmente preoccupato di mantenere questa unità organica e di non trascurare nessuna precisazione e delimitazione che il suo discorso finisce talvolta per essere di mero buon senso.
Il progresso, per l’autore, è la via inevitabile per elevarsi, ma deve avvenire gradualmente, senza salti, per evitare drammatici ritorni indietro. La concorrenza è necessaria al bisogno di fiducia in se stessi ma deve svolgersi entro un atteggiamento cooperativo e di lealtà verso le istituzioni, per non essere dirompente e controproducente. La disuguaglianza economica è necessaria, come riconoscimento del merito che muove il mercato, ma non dev’essere eccessiva per non demotivare chi parte sfavorito (la stessa cosa sulla disuguaglianza avevano ripetuto spesso gli illuministi).
Marshall quindi avanza l’idea, sempre ritornante, di ridurre la disuguaglianza dei punti di partenza. Una riduzione difficile se si pensa ai corollari del principio della proprietà privata, universalmente accettati (diritto di successione, libera accumulazione dei beni mobili e immobili, ecc.). Marshall però coniuga quest’idea soprattutto come dovere dello stato di promuovere il più possibile l’istruzione dei ceti bassi. Tanti altri autori avevano attribuito un’importanza cruciale all’istruzione dei lavoratori, a partire da Smith; fra gli altri Dunoyer, List, J.S.Mill.
Ma dobbiamo chiederci: è vero, come credeva Marshall, che l’istruzione e la qualificazione del lavoratore risolvono il problema della sua occupazione, e quello di un lavoro dignitoso e ben retribuito? Non è vero; la drammatica esperienza dei nostri giorni sta a dimostrarlo: la crescita impetuosa dell’istruzione di massa, che è avvenuta a tutti i livelli, non protegge dalla disoccupazione e dal lavoro precario. Questa constatazione rivela un certo carattere idilliaco e un po’ illusorio dell’analisi di Marshall, la quale ignora ogni conflitto, a partire da quello fra gli interessi del profitto e l’interesse generale.
Marshall infatti rimprovera i genitori delle classi umili che non investono nell’istruzione dei figli. Ma Eisdell aveva già spiegato bene perché ciò avveniva. La ricchezza di un paese, egli scrive, dipende dalla specializzazione, ma noi non possiamo avere abbastanza specializzati perché i lavoratori sono troppo poveri per mandare i figli agli studi. Perciò abbiamo un eccesso di lavoro non qualificato (2).
Tuttavia, oggi l’insegnamento di Marshall potrebbe essere prezioso per lanciare finalmente l’economia post-industriale, basata necessariamente sulla crescita del capitale umano.
Alfred Marshall’s Last Challenge. His Book on Economic Progress, edited and introduced by K. Caldari and T. Nishizawa,
(2) Eisdell, Joseph, A Treatise on the Industry of Nations …, London: Whittaker, 1839, online, II, pp. 255-64.