Tag Archives: occupazione

Oggi è l’occupazione che crea lo sviluppo (non viceversa)

1 Mar


di Cosimo Perrotta

Spesso si crede che il progresso tecnico crei occupazione. E’ esattamente il contrario. Il progresso tecnico consiste nel sostituire lavoro umano con lavoro meccanico o digitale (che è più produttivo e dà maggior profitto). Il progresso tecnico quindi, di per sé, crea disoccupazione, e questa è tanto più estesa quanto più il primo è rapido.

Perché allora si pensa l’opposto? Perché si confonde il progresso tecnico con lo sviluppo economico complessivo. Il progresso tecnico aumenta la produttività, cioè a parità di costo produce una quantità maggiore di beni o servizi. Di conseguenza il costo dei singoli beni diminuisce, e ciò va a vantaggio di tutti. È questo propriamente il meccanismo che accresce la ricchezza della società. L’aumento della ricchezza sociale può portare a maggiori investimenti e quindi a una maggiore occupazione.

Dunque è vero che il progresso tecnico alla fine può dare maggiore occupazione, ma solo indirettamente, attraverso una serie di passaggi e a determinate condizioni. La condizione principale è che l’abbassamento del costo dei beni, accrescendo il potere d’acquisto dei salari e degli altri redditi, provochi un aumento della domanda. Ma questo non accade necessariamente.

Oggi molti autori ci assicurano che il progresso tecnico non ridurrà i posti di lavoro, anzi li accrescerà, nonostante il diffondersi dei robot nella produzione. I nuovi posti di lavoro, essi dicono, saranno sempre di più di quelli distrutti. Questi autori si illudono, come si illudeva Ricardo 200 anni fa (1). Oggi non ci sono le condizioni di mercato per accrescere la domanda, e senza domanda – cioè la prospettiva di vendere – le imprese non investono.

Questa situazione si trascina sin dagli Ottanta. Le politiche del welfare state, mentre avevano accresciuto la produttività del lavoro, avevano anche esaurito la domanda di consumi elementari. Occorreva quindi aprire nuovi mercati per soddisfare nuovi bisogni. Bisognava avviare la transizione all’economia post-industriale, cioè accrescere rapidamente i consumi immateriali, i servizi, i beni collettivi, l’istruzione. Verso questo tipo di consumi spingeva anche il decollo dell’informatica che avveniva proprio in quegli anni. Ma questa transizione non avvenne, per motivi sociali complessi, che qui sarebbe troppo lungo spiegare.

Da allora l’economia digitale ha trainato il progresso tecnico a ritmi mai visti prima e in poco tempo ha reso inutili nei paesi più sviluppati centinaia di milioni di posti di lavoro. Ma mentre il progresso tecnico galoppava la società ristagnava. Alla dirompente disoccupazione tecnologica si è aggiunta nello stesso periodo il trasferirsi di capitali e poi macchinari e intere fabbriche dall’Occidente verso i paesi emergenti. Infatti la saturazione dei mercati interni occidentali portava i capitali a cercare investimenti all’estero. Così la disoccupazione si ingigantiva ancor più.

Le politiche neoliberiste dell’austerità vietavano (e vietano) allo stato di intervenire. Intanto la disoccupazione larghissima ha reso disponibili per le imprese masse di persone disposte a qualsiasi lavoro precario, mal pagato e privo di garanzie. Quindi lo sviluppo, invece di progredire parallelamente al progresso tecnico, si è bloccato. Ad esempio in Italia – economia particolarmente fragile – la produttività complessiva non cresce da 20 anni. Questa spirale perversa ci sta portando verso la disgregazione sociale: caduta del senso civico, capri espiatori ad ogni angolo (i migranti, i neri, i complotti), rigurgiti nazifascisti, ecc.

Oggi dunque la disoccupazione, creata naturalmente dal progresso tecnico, non viene compensata da un aumento sufficiente della domanda. D’altra parte non si può e non si deve frenare il progresso tecnico, sarebbe il disastro finale. Quasi tutti gli osservatori e i politici (compreso, sembra, l’attuale governo italiano) si arrovellano per inventare nuove politiche di incentivi alle imprese, perché investano allargando così l’occupazione. Ma è un errore che ci sta portando alla rovina.

Le imprese sussidiate in qualsiasi modo (sgravi fiscali, “ristori”, ecc.) o puntano sul progresso tecnico (le start-up, i giganti del digitale, Big Farma, ecc.), e allora non creano occupazione, oppure si industriano per sopravvivere, e in tal caso non investono proprio. Per non parlare delle imprese speculative e di quelle “prendi i soldi e scappa”.

Allo stato attuale nessun tipo di impresa è in grado di rialzare la domanda. Deve farlo lo stato (come è successo tantissime volte nella storia del capitalismo). Serve un piano di larghissimi impieghi che ricostituisca livelli sufficienti della domanda interna dando salari e stipendi, e in questo modo rilanci la convenienza delle imprese ad investire.

Ciò non sarebbe lavoro improduttivo o parassitario. Al contrario. La crisi attuale ha privato una parte crescente della società dei beni elementari per una vita appena dignitosa e ha privato l’intera società di servizi pubblici decenti. C’è tanto lavoro produttivo da impiegare per incontrare la domanda potenziale di chi ha bisogni insoddisfatti.

(1) V. David Ricardo, Principi di economia politica … (1821), Milano, Isedi, 1976, cap. 31. V. anche C. Perrotta, Unproductive Labour …, New York-London, Routledge, 2018.

Palestina. L’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace

1 Feb

Il documento 1-2-2016 La Francia riconosce lo Stato palestinese

di Valerio Baldissara e Valentina Verze (cooperanti in Palestina)

viva_palestina_by_shaheen_zaman-d6z12sh“Un’analisi delle cause dell’escalation di violenza di questo ultimo periodo a Gerusalemme, in Cisgiordania e Gaza: dai crescenti attacchi dei coloni ai palestinesi a quelli di alcuni giovani dei Territori occupati nei confronti di israeliani, fino alle speciali misure di “sicurezza” emanate dal gabinetto di sicurezza israeliano. Continua a leggere

A proposito di integrazione: l’esperienza del Comune di Este a Padova

19 Ott

flussi-2011-slide-ministero-internoVi segnaliamo un’interessante esperienza del Comune di Este (Padova). Gli attori firmatari del protocollo di intesa mettono in campo concrete misure di integrazione e opportunità lavorative in favore degli immigrati.

PROTOCOLLO D’INTESA TRA
􀂾 PREFETTURA DI PADOVA
􀂾 COMUNE DI ESTE
􀂾 ECOFFICINA EDUCATIONAL COOPERATIVA SOCIALE ONLUS
􀂾 IL VILLAGGIO GLOBALE COOPERATIVA SOCIALE ONLUS

Scarica il documento: Protocollo_ESTE.pdf

 

Nuove forme di occupazione senza nuovi sistemi di tutela sociale: l’impatto sul lavoro delle donne

12 Ott

Larticolo 12-10-2015 di Cristina Sunna

new formNew forms of employment è il titolo di un rapporto di ricerca della European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, realizzato per lo European Monitoring Centre on change (EMCC) e pubblicato a Lussemburgo nel marzo 2015. Lo studio, condotto a partire dal 2000, si è posto l’obiettivo di indagare e classificare nuove forme di occupazione nel mondo del lavoro dei vari Paesi europei, fondamentalmente non basate sul contratto di lavoro standard in modalità subordinata del tipo a tempo indeterminato o determinato, e del tipo full-time o part-time. Continua a leggere

Salari e qualificazione: la fuga verso gli estremi

20 Ott

l’articolo  20/10/2014 di Valeria Cirillo

Ma è poi vero che le nuove tecnologie fanno crescere la qualificazione media dei lavoratori?

Negli ultimi anni è stata ampiamente riconosciuta nei paesi occidentali una tendenzaverso la polarizzazione dell’occupazione e dei salari: in termini percentualil’occupazione e il monte salari crescono per i lavori che stanno agli estremi della scala delle qualifiche. Ciò avviene nel Regno Unito e negli Stati Uniti,ma anche in Germania, Portogallo, Spagna,e a livello aggregato in Europa.[1] Continua a leggere

Rafforzare le piccole e medie imprese e il loro legame col territorio

16 Set

Riprendono le risposte alla nostra richiesta  di indicare  5 o 6 provvedimenti prioritari per rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia. Sono già intervenuti  Paolo Pini, Paolo Pettenati, Marcello Messori, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni, Anna Pellanda, Lilia Costabile, Terenzio Cozzi. Oggi risponde:

 di Piero Tani Prof. ordinario di Economia politica, Università di Firenze

pmiUn problema preliminare è l’individuazione dei soggetti in grado di realizzare le possibili iniziative. Alle radici della crisi stanno infatti questioni il cui ambito va al di là dei confini “politici” dell’Italia: la nuova localizzazione dell’attività produttiva conseguente alla globalizzazione; l’aumento della disuguaglianza nella ricchezza, nei redditi e nelle condizioni di vita; la deformazione subita dall’attività finanziaria; il cammino interrotto nella unificazione dell’Europa, con una politica fiscale europea realizzata solo attraverso vincoli alle politiche nazionali e un taglio generale di tipo restrittivo. Continua a leggere

Per mantenere l’occupazione deve aumentare l’assorbimento del prodotto

10 Giu

euro-politiche-economicheAbbiamo chiesto ad alcuni economisti che cosa pensino della decrescita. È compatibile con l’uscita dalla crisi e con l’aumento dell’occupazione? Finora sono intervenuti Luigino Bruni, Mauro Gallegati, Ignazio Musu, Pier Luigi Porta. Oggi interviene:

Marco Dardi – Prof. ord. di Economia politica, Univ. di Firenze

Nella storia vediamo che dalle crisi economiche si è sempre usciti attraverso ristrutturazioni del tessuto economico pre-esistente. Non c’è ragione per cui non debba andare così anche questa volta. Ristrutturare vuol dire rottamare vecchi schemi di organizzazione e attività produttive e svilupparne di nuovi, con decrescite/estinzioni da una parte, crescite/nuove nascite dall’altra. In questo senso chi parla di decrescita non dice niente di strano e anche l’idea di cercare di trasformare la crisi in opportunità di rinnovo strutturale non è certo nuova. Si voglia o no, una ristrutturazione ci sarà comunque ed è giusto cercare per quanto possibile di pilotarla anziché lasciarsi andare alla deriva. Vista così, la questione non è di crescita contro decrescita, un’opposizione ideologica alimentata da slogan che trovo particolarmente mal scelti, ma di confronto sui contenuti dei diversi modelli o piani finanziario-industriali che vengono proposti in chiave anticrisi. Continua a leggere

Cinque strumenti per rilanciare l’occupazione in Italia

15 Apr

http://www.euractiv.it/media/content/euractiv/6877-lavoro-impennata-disoccupazione-italia-maglia-nera-ue-350.jpgAbbiamo rivolto ad alcuni economisti questa domanda: Quali sono i 5 o 6 provvedimenti principali che possono rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia? – Dopo Paolo Pini, risponde Marcello Messori. Risponderanno anche Paolo Pettenati, Vera Negri Zamagni, Adriano Giannola, Lilia Costabile, Stefano Zamagni.

Risponde Marcello Messori, Università LUISS di Roma


 1. I dati sui tassi di disoccupazione nell’Unione economica e monetaria europea (UEM) mostrano che la lunga recessione di molti Stati membri ‘periferici’ ha avuto pesanti effetti sul mercato del lavoro. Nell’aggregato, l’economia italiana non registra un’emergenza occupazionale più grave di quella europea. Anche se ha accusato una delle peggiori performance macroeconomiche durante la crisi ‘reale’ internazionale e la successiva crisi europea e ha realizzato uno dei più bassi tassi di crescita del Prodotto interno lordo fra la metà degli anni Novanta e il 2005, il nostro Paese ha anzi mantenuto un tasso ufficiale di disoccupazione leggermente inferiore alla media della UEM (11,7% rispetto allo 11,9%). Il risultato aggregato nasconde, tuttavia, una condizione del nostro mercato del lavoro che è più pesante di quanto non appaia. Continua a leggere

La crescita di Monti e quella del PD

19 Feb

di Cosimo Perrotta

Pier Luigi Bersani con Mario Monti e Nichi Vendola (blizquotidiano.it)

Pier Luigi Bersani con Mario Monti e Nichi Vendola (blizquotidiano.it)

In questa campagna elettorale si confrontano due – e solo due – progetti per uscire dalla crisi economica che attanaglia il paese. Uno è quello di Monti (non direi che è anche di Casini), l’altro è del PD. Monti in sostanza ragiona così: l’economia italiana è bloccata dalla bassa produttività, che – a differenza degli altri paesi europei – non aumenta da più di dieci anni. Questo blocco è dovuto al prevalere delle rendite e delle corporazioni, che difendono una selva di privilegi piccoli e grandi, e impediscono che si sviluppi la concorrenza di mercato. La soluzione sta nel combattere le rendite di posizione e riattivare la concorrenza. Questo rialzerà i profitti e allargherà l’occupazione. Continua a leggere

L’occupazione femminile favorisce la natalità (e lo sviluppo)

15 Ott

di ROSSELLA BUFANO

Secondo un diffuso stereotipo il calo delle nascite è dovuto al desiderio delle donne di lavorare. Ma per Maurizio Ferrera (Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia, Mondadori, 2008), al contrario, più le donne lavorano e più fanno figli. Ciò, almeno nel Nord Europa, dove il tasso di fecondità oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia, invece, aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, con punte più alte nel Mezzogiorno (dove il tasso di fecondità è tra l’1,4 e lo 0,6 figli per donna, contro il 2,7 degli anni ’60).[1] Questo accade nonostante il manifesto desiderio del 60% delle italiane di avere almeno due figli, senza rinunciare a lavorare. Continua a leggere