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Il Nobel dell’economia 2023: storia delle differenze di genere nel lavoro

16 Ott


di Piero Rizzo – 16-X-2023

Il Nobel per l’economia 2023 è stato conferito a Claudia Goldin della Harvard University, Cambridge, MA, USA, “per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”.
Riportiamo di seguito alcuni tra i risultati più significativi o meno noti (a parere di un profano) delle ricerche della Nobel.
Goldin ha scoperto i fattori chiave delle differenze di genere nel mercato del lavoro e ha fornito per la prima volta un quadro completo dei guadagni e della partecipazione delle donne nel corso dei secoli. Un lavoro certosino negli archivi ha portato alla raccolta di 200 anni di dati provenienti dagli Stati Uniti e mostrato come e perché le differenze di genere nei guadagni e nei tassi di occupazione sono cambiate nel tempo e come i percorsi economici delle donne potrebbero continuare ad evolversi nel futuro.
Le donne sono largamente sotto-rappresentate nel mercato del lavoro globale e, quando lavorano, guadagnano meno degli uomini. Circa il 50% delle donne lavora o cerca attivamente lavoro per reddito, rispetto all’80% degli uomini. Questi dati sono pressappoco costanti nel tempo e in tutti i paesi. I divari di partecipazione tra uomini e donne sono particolarmente ampi in Asia, Medio Oriente e Nord Africa. Goldin ha dimostrato che la partecipazione femminile al mercato del lavoro non ha avuto una continua tendenza al rialzo nel tempo, ma un andamento secondo una curva ad U. La partecipazione delle donne sposate diminuisce con la transizione da una società agricola a una industriale all’inizio del XIX secolo, ma poi inizia ad aumentare con la crescita del settore dei servizi all’inizio del XX secolo. La causa è l’evoluzione delle norme sociali sulle responsabilità delle donne per la casa e la famiglia. E’ stato dimostrato che l’accesso alla pillola contraccettiva ha giocato un ruolo importante nell’accelerare questo cambiamento rivoluzionario, offrendo alle donne incentivi nuovi per investire nell’istruzione e nella carriera.
Nel corso del XX secolo, i livelli di istruzione delle donne sono aumentati costantemente e, nella maggior parte dei paesi ad alto reddito, sono oggi sostanzialmente più alti di quelli degli uomini. Tuttavia, quando lavorano, le donne guadagnano meno: nei Paesi OCSE, ad esempio, le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto agli uomini. Inoltre, le donne tendono a coprire posti di lavoro con meno possibilità di carriera e sono gravemente sotto-rappresentate nei consigli di amministrazione aziendali o come amministratori delegati. I divari di genere nei guadagni e il “soffitto di cristallo”(glass ceiling) nelle promozioni sono fenomeni mondiali.
La modernizzazione, la crescita economica e la crescente percentuale di donne occupate nel XX secolo non hanno colmato il divario retributivo tra donne e uomini. Secondo Goldin, parte della spiegazione è che le decisioni educative, che influiscono sulle opportunità di carriera per tutta la vita, vengono prese in età relativamente giovane. Le aspettative delle giovani donne sono influenzate dalle esperienze delle generazioni precedenti – ad esempio, dalle loro madri, che sono tornate al lavoro solo quando i figli sono cresciuti – e questo porta inevitabilmente ad uno sviluppo più lento.
Accanto alle differenze nell’istruzione e nelle scelte professionali, tuttavia, Goldin ha dimostrato che la maggior differenza di reddito si ha attualmente tra un uomo e una donna di una stessa coppia che svolgono lo stesso tipo di lavoro e ciò si verifica con la nascita del primo figlio. “E’ importante sottolineare che entrambi perdono. Gli uomini rinunciano al tempo trascorso con la famiglia e le donne spesso rinunciano alla carriera”.
In conclusione.
Se le donne vengono trattate in modo diseguale nel mercato del lavoro, non è solo una questione di equità, ma anche di efficienza economica. Quest’ultima diminuisce se le persone non vengono attribuite ai lavori più consoni alle loro competenze. Tali inefficienze comportano ingenti costi economici per la società. Ridurre il divario di genere nell’occupazione e valorizzare il talento femminile potrebbe quindi portare ad aumenti significativi della ricchezza globale. La magistrale narrazione della storia economica delle donne ha fornito fatti nuovi sui molti aspetti delle diseguaglianze di genere e approfondimenti spesso sorprendenti sui ruoli storici e contemporanei delle donne nel mercato del lavoro.

https://www.nobelprize.org/prizes/economic-sciences/2023/press-release/
https://www.nobelprize.org/uploads/2023/10/advanced-economicsciencesprize2023.pdf
https://www.nobelprize.org/uploads/2023/10/popular-economicsciencesprize2023.pdf

8 marzo per tutte – Le donne non bianche subiscono gravi discriminazioni

6 Mar


di Emily Peck – 6-3-2023

Circa il 51% delle donne di gruppi razziali ed etnici emarginati, in USA e in altri 4 paesi, affermano di aver sofferto esperienze di razzismo o discriminazione sul posto di lavoro, secondo un’inchiesta della scorsa settimana.

I notevoli risultati dell’inchiesta arrivano in un momento in cui alcune imprese stanno abbandonando gli sforzi sul problema della diversità e dell’inclusione.
In che consisteva l’inchiesta? I ricercatori di Catalyst, un gruppo di pressione femminile, hanno intervistato 2.734 donne di Australia, Canada, Sud Africa, Regno Unito e USA.
La ricerca riguardava le donne che avevano indicato la propria appartenenza razziale o etnica come diversa da quella bianca. È stata fatta una domanda che richiedeva come risposta “sì” o “no”: “Ha avuto esperienza di discriminazione a causa della sua appartenenza etnica, nazionalità, razza o religione nel suo attuale posto di lavoro?”
Alle intervistate è stato chiesto anche se si identificassero come donne o donne trans, e se fossero LGBT. A ogni donna è stata mostrata anche una gamma di colori [sempre più scuri] e si è chiesto loro di indicare quello che più si avvicinava al colore della sua pelle. Kathrina Robotham, Ph.D., socia senior di Catalyst e una delle autrici dello studio, ha detto “Volevamo approfondire la tematica del razzismo e chiarire la natura intersettoriale di quest’ultimo”.
Che cosa ha trovato la ricerca? Le donne trans o omosessuali avevano avuto esperienze di razzismo più delle altre. E le donne con la pelle più scura avevano avuto esperienze razziste molto di più delle altre [nel grafico riportato dall’articolo, le percentuali di esperienze razziste aumentano regolarmente quanto più il colore della pelle è scuro, passando dal 34 al 69%].
Alle intervistate è stato chiesto anche di raccontare qualche esempio di esperienze razziste sul lavoro. “Abbiamo raccolto un’enorme quantità di storie”, dice la Robotham. La quale aggiunge: “C’è la credenza che le manifestazioni di razzismo sul posto di lavoro oggi siano nascoste o mascherate, ma in realtà quelle che ci hanno descritto erano palesi”.
Il rapporto mostra diverse citazioni delle intervistate che descrivono dei colleghi i quali fanno commenti razzisti sul loro aspetto o la loro competenza o usano persino insulti.
I numeri sono questi: le donne che hanno dichiarato di avere avuto esperienze di razzismo sul posto di lavoro sono state in 48% in USA, 59% nel Regno Unito, 67% in Sud Africa, 39% in Canada e 48% in Australia.
Le autrici del rapporto suggeriscono che i dirigenti delle ditte possono fare molto per fronteggiare questo problema. Soprattutto essi possono parlarne apertamente e dire che quei comportamenti sul posto di lavoro non possono essere tollerati.


(tradotto da Axios, 6-2-8 marzo 2023 – Titolo originale dell’articolo: “Women report stunning levels of discrimination”)

Migrazioni, sviluppo ed economia di genere

4 Apr


di Claudia Sunna (Università del Salento)


Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni delle Nazioni Unite (IOM), nel 2020, il 48% dei migranti internazionali sono donne (1). Più in generale, negli ultimi anni, la popolazione migrante femminile si è attestata a circa la metà della popolazione migrante (IOM 2022). Nonostante questi dati, le teorie sulle migrazioni internazionali non considerano il ruolo delle donne nei processi migratori. Esiste ormai una letteratura economica molto articolata che analizza le cause e gli effetti delle migrazioni internazionali di lavoro ma non considera il divario di genere come un tema su cui fondare l’analisi (2).
Nella teoria dello sviluppo economico, al contrario, a partire dagli anni ’70, si è sviluppato un intero filone di ricerca che mette in evidenza che il divario di genere è profondamente legato alla cultura dei paesi interessati e soprattutto che le politiche di sviluppo realizzate a partire dal secondo dopo-guerra in ogni angolo del pianeta non hanno attenuato il divario di genere ma, al contrario, hanno contribuito a peggiorare la situazione delle donne. Pioniera in questi studi è stata Ester Boserup (1910-1999), economista non accademica danese, che attraverso l’indagine sul campo ed una serie di studi antropologici in Asia ed Africa, ha mostrato come le politiche di sviluppo realizzate negli anni ’50 e ’60, hanno contribuito a peggiorare la condizione economica delle donne emarginandole dai processi di formazione per il lavoro, dal settore industriale e in molti paesi anche dall’agricoltura tradizionale. Questo ha contribuito a rendere ‘invisibile’ il lavoro delle donne, che spesso si è ‘inabissato’ nell’economia informale (2).
L’impatto di questo studio è stato molto vasto ed ha generato una strategia di intervento globale denominata Women in Development (WID). Le politiche WID vengono promosse dalle agenzie di sviluppo e dagli enti (ong, associazioni) sin dai primi anni Settanta. Esse sono derivate dall’analisi di Boserup, la quale dimostra che le donne erano state coinvolte nei processi di sviluppo ma avevano visto negati i loro diritti, ruoli ufficiali e accesso alle risorse. Emerge quindi la necessità di politiche speciali di supporto per le donne coinvolte nei ruoli produttivi. Progressivamente, nelle agenzie internazionali, l’enfasi si è spostata sulle politiche e strategie nazionali di intervento per offrire alle donne un eguale accesso alle opportunità di istruzione ed occupazione, alla rappresentanza e partecipazione politica e alle misure di welfare.
Alla fine degli anni ‘70 si diffonde una certa insofferenza verso l’approccio WID. Viene messa in evidenza il modo insufficiente di rappresentare le donne nella letteratura sullo sviluppo economico. Si analizza la predominanza di studi descrittivi riferiti a contesti specifici in cui le relazioni di genere sono presentate come fisse ed immutabili. La subordinazione delle donne viene descritta in termini standard di patriarcato, sfruttamento e oppressione, senza discutere nessuna strategia di cambiamento. Infine viene anche criticata l’identificazione della donna come una categoria isolata ed uniforme.
Da questo vasto dibattito emerge un nuovo approccio denominato Gender and Development (GAD) che mette in evidenza il pregiudizio maschile nelle politiche di sviluppo. Il pregiudizio è individuato nelle relazioni quotidiane (il lavoro delle donne è percepito come meno importante perché non retribuito o perché si svolge nel settore informale), negli approcci teorici (concetti come economia informale, forza lavoro, household oscurano il ruolo produttivo delle donne), nelle politiche economiche (gli interessi delle donne sono emarginati nella formulazione ed implementazione delle politiche economiche, si pensi alle conseguenze delle politiche di aggiustamento strutturale o di austerity che riducono la spesa nei servizi sociali).
Questo cambiamento della strategia attua il passaggio dell’attenzione dalle donne alle relazioni di genere, vale a dire ai diversi livelli di relazioni che definiscono i ruoli di genere nelle società. È un cambiamento molto rilevante da cui promana il cosiddetto gender mainstreaming, la considerazione delle differenze di genere in ogni fase, dall’ideazione alla realizzazione, delle politiche pubbliche.
Questa ricchezza di approcci e questi approfondimenti dovrebbero investire anche il tema delle migrazioni internazionali di lavoro che, al momento, non mettono in evidenza il ruolo ed il contributo delle donne.


IOM (2022), World Migration Report, in https://publications.iom.int/books/world-migration-report-2022
(2) H. Zlotnik (2019) “International Migration and Development”, in M. Nissanke and J. A. Ocampo (eds) The Palgrave Handbook of Development Economics, pp. 763-98.

(3) E. Boserup 1970 Women’s Role in Economic Development, London, Earthscan.

(Sintesi della relazione al ciclo di incontri “I Venerdì di Diogene 2022”, tavola rotonda del 25 febbraio)

Conciliare tempi di vita e di lavoro

13 Feb

L’articolo 13-2-2017 di Cristina Sunna

Risultati immagini per Conciliare tempi di vita e di lavoroNella Costituzione italiana il diritto al lavoro è sancito tra i Principi fondamentali. Il primo comma dell’art. 4 recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Continua a leggere

Demografia e sviluppo secondo Lorenzin

3 Set

di Cosimo Perrotta

Risultati immagini per lorenzin fertilityBisognerebbe spiegare alla ministra della Sanità e ai suoi consiglieri che le decisioni sulla natalità sono, sì, private ma dipendono da due fattori collettivi: la cultura e le risorse. Questi due grandi fattori si intrecciano e si influenzano a vicenda. Nelle  società pre-industriali, la crescita demografica era frenata dalla scarsità di risorse. Questo non significa che nascessero pochi bambini. La scarsa crescita demografica era dovuta all’alta mortalità dei bambini, dovuta alla struttura sanitaria primitiva e alla povertà delle famiglie e dei servizi pubblici. Di bambini invece ne nascevano tanti, perché la cultura delle famiglie – incoraggiata anche dalle chiese – vedeva la natalità come un processo naturale, indipendente dalle decisioni dei genitori. Continua a leggere

Nuove forme di occupazione senza nuovi sistemi di tutela sociale: l’impatto sul lavoro delle donne

12 Ott

Larticolo 12-10-2015 di Cristina Sunna

new formNew forms of employment è il titolo di un rapporto di ricerca della European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, realizzato per lo European Monitoring Centre on change (EMCC) e pubblicato a Lussemburgo nel marzo 2015. Lo studio, condotto a partire dal 2000, si è posto l’obiettivo di indagare e classificare nuove forme di occupazione nel mondo del lavoro dei vari Paesi europei, fondamentalmente non basate sul contratto di lavoro standard in modalità subordinata del tipo a tempo indeterminato o determinato, e del tipo full-time o part-time. Continua a leggere

Lavoro per la famiglia e lavoro esterno. Per le donne del Sud conciliarli è più difficile

6 Lug

larticolo 6-7-2015 di Claudia Sunna

logoconciliazione_a-1-300x195Il tema chiamato della conciliazione fra tempi di vita e lavoro, indica il problema di come distribuire il tempo di attività fra impegni familiari e impegni del lavoro esterno. Questo problema non dovrebbe essere distinto dal tema delle politiche per il lavoro e del divario occupazionale fra uomini e donne. Continua a leggere

Donne e lavoro: una rivoluzione incompiuta

27 Ott

l’articolo  27/10/2014 di Rossella Bufano

 A che punto siamo con le barriere all’entrata per il lavoro delle donne?

Donne che lavorano. Tra ruoli e difficoltà da superare (Franco Angeli, 2012)

Donne che lavorano. Tra ruoli e difficoltà da superare (Franco Angeli, 2012)

Monica Legittimo (Donne che lavorano. Tra ruoli e difficoltà da superare, Franco Angeli, 2012, con utile Introduzione di Rosalba Nestore) osserva che nel periodo 1960-80 vennero rimossi gli ostacoli giuridici all’accesso al lavoro delle donne: le si ammette a tutte le professioni compresa la magistratura (l. 66 del 1963), si vieta il licenziamento per matrimonio (l. 7 del 1963), si introduce la parità di trattamento retributivo (l. 903 del 1977). Eppure ancora oggi ci si misura con la difficoltà a ricoprire posizioni di rilievo e ruoli dirigenziali; la ghettizzazione professionale (scarsa presenza in ambiti tradizionalmente maschili e tendenza a lavorare in settori considerati “femminili”: istruzione, sanità, ecc.); e con la disparità di remunerazione, nonostante le donne siano spesso più produttive e abbiano raggiunto livelli di istruzione superiori a quelli maschili. Continua a leggere

Paesi arabi: l’occupazione generale aumenta (tab. 1) ma quella delle donne diminuisce (tab. 2)

23 Ott

Il documento, 23 ottobre 2014

Fonte: Eurostat agosto 2014:

Graph 1. Total labour market participation rate 2001 and 2011

Israel (IL), Morocco (MA), Egypt (EG), Lebanon (LB), Tunisia (TN), Palestine (PS) and Algeria (DZ).

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ILO (International Labour Office), Slave labour

18 Lug

* Almost 21 million people are victims of forced labour – 11.4 million women and girls and 9.5 million men and boys.

* Almost 19 million victims are exploited by private individuals or enterprises and over 2 million by the state or rebel groups.

* Of those exploited by individuals or enterprises, 4.5 million are victims of forced sexual exploitation. Continua a leggere