“Il mercato rende liberi” e altre bugie

15 Mar


di Alessio Emanuele Biondo – 15-3-2021

Commento a Mauro Gallegati, Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, Luiss University Press, 2020.

“Il mercato rende liberi” regala due messaggi al suo lettore.
Il primo si rivela invertendo il titolo. La libertà è costruttrice del mercato? Qual è il legame fra libertà e mercato? Una parte della teoria economica studia il modo in cui i singoli individui assumono le proprie decisioni. Molti economisti pensano che l’economia spieghi che gli individui riescano sempre a ottenere il meglio. Questa ipotesi eroica poggia sull’idea che si conosca tutto sulle scelte da fare. Ma se abbandoniamo l’ipotesi di un uomo onnisciente, si sa che le scelte si basano sulle percezioni personali di obiettivi e vincoli. La razionalità in economia è una conformità procedurale, figlia dell’istinto di conservazione e non ha nulla a che fare con l’onniscienza. Perciò, non sempre le libere scelte che facciamo tutelano davvero noi stessi e la società in cui viviamo. Dimenticando quanto dobbiamo al contesto che ci ospita, ignorando le conseguenze dei nostri comportamenti, contribuiamo a rendere il mercato un meccanismo che, lungi dal permettere l’espressione della libertà di tutti, finisce con l’implicare disparità e degrado sociale.

Il secondo messaggio riguarda lo stato di salute della macroeconomia, cioè la parte di teoria economica che studia i sistemi aggregati come, ad esempio, i Paesi. In particolare, il libro stigmatizza l’inadeguatezza dell’approccio ortodosso dominante, che deriva dall’impostazione riduzionista microfondata. Essa propone modelli incapaci di realismo, portatori di ragionamenti ingannevoli e risultati altamente inaffidabili. Un’analisi basata sull’idea che un singolo possa rappresentare la società, o che tutti siano identici o agiscano simultaneamente, mortifica la pluralità, l’eterogeneità e la conseguente centralità dell’interazione sequenziale fra individui. Si tratta di elementi fondanti per il concetto stesso di collettività. Radicare sul mero formalismo la rivendicazione di scientificità, come se il grado di raffinatezza matematica usata per l’esposizione di qualsiasi teoria possa incidere sulla validità del suo contenuto, non serve: non si può negare che i partecipanti al mercato decidano e interagiscano in sequenza. Dunque, lo sviluppo dinamico del sistema non può essere confinato all’interno di una regione predefinita. Questa non ergodicità rende le previsioni estremamente fragili da un punto di vista concettuale: nessuno può stabilire quale sarà la sequenza delle interazioni. Ognuna delle possibili sequenze porterebbe a risultati molto diversi, persino se le condizioni iniziali fossero davvero molto simili.

Non è dunque possibile, per definizione, assegnare probabilità oggettive per fare previsioni nei sistemi complessi. Dire che esse presentino errori di poco conto nella stragrande maggioranza dei casi rivela inconsapevolezza. È come ribattere all’emergenza climatica sostenendo che l’ultimo inverno newyorkese è stato molto rigido, come non si vedeva da decenni! Ignorando la complessità, anche un economista insignito del Nobel arriva a dichiarare che le crisi economiche sono un fatto capito e risolto. Dichiarazione smentita in modo paradossalmente divertente da fatti accaduti poco dopo, se non fosse naturalmente per la severità delle loro conseguenze. La macroeconomia fu spiegata per la prima volta nel 1936 da Keynes, che descrisse il relativismo del valore della moneta e la complessità delle interazioni sequenziali, proprio in contrapposizione all’applicazione della fisica newtoniana in economia. Oggi, i modelli ad agenti, dei quali Gallegati stesso è uno dei pionieri, sono lo strumento privilegiato per proseguire quel cammino.

Il mercato rende liberi è accattivante, personalistico come un racconto narrativo, eppure dettagliato nella sua fondatezza come un contributo scientifico, preciso ma comprensibile. I limiti dell’approccio economico dominante non sono però necessariamente connessi ai limiti del capitalismo. Pur conoscendone bene tutte le fragilità, Keynes considerò il capitalismo come l’unico sistema possibile, se opportunamente governato, in un mercato che renda davvero liberi.

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