a cura di Cosimo Perrotta – 6-5-2024
La privatizzazione accelera
Nei paesi ricchi il settore sanitario cresce sempre più, sia per i forti progressi della ricerca medica sia per il conseguente invecchiamento della popolazione. Il capitale privato lo ha scelto da tempo tra i primi settori d’investimento. Ma la privatizzazione non avviene, come si racconta, attraverso la concorrenza fra settore privato (che sarebbe più efficiente) e settore pubblico. Avviene soprattutto finanziando l’investimento privato con la spesa pubblica. Ciò accade in vari modi, fra cui: A) cliniche, ospedali e laboratori privati convenzionati, le cui cure e analisi sono rimborsate dallo stato ai prezzi fissati dai privati. B) Assistenza intramoenia, svolta nelle strutture pubbliche da medici del Ssn ma con tariffe di livello privato, pagate dai pazienti per accelerare i tempi di diagnosi e cure. C) Medici che lavorano in parte nelle strutture pubbliche e in parte come liberi professionisti. D) Nei paesi più avanzati c’è una vasta attività di ricerca finanziata dallo stato a cui attingono anche le strutture private; le quali brevettano a proprio vantaggio i risultati della ricerca fatta con fondi pubblici (ad es., è accaduto in molti casi per il Covid).
In Italia, paese politicamente arretrato, la privatizzazione dei finanziamenti pubblici è più devastante. Si stanno formando grandi compagnie private con migliaia di medici e operatori sanitari e decine di ospedali – ad. es. il Gruppo S. Donato, che comprende 18 ospedali tra cui il S. Raffaele. Esse interagiscono con le compagnie che promuovono l’assicurazione privata degli utenti. Si delinea così una sanità per ricchi, che punta sulle specializzazioni “di eccellenza” e sulla scelta dei settori più remunerativi. Il modello è quello USA: i ceti più alti vengono liberati dalle tasse per la sanità pubblica in modo da farli accedere a una sanità privata costosa, che i ceti poveri non possono pagare.
Il numero di medici per abitante in Italia è simile a quello degli altri paesi UE (400 ogni 100mila abitanti) ma da noi il 79% dei medici ha più di 55 anni. I medici di famiglia e gli infermieri sono valutati e pagati meno che in altri paesi e hanno minori contatti con gli ospedali (in Francia e Germania gli ospedali ogni 100mila abitanti sono 3-4 volte di più). In Italia i medici sono per il 32% liberi professionisti, perciò i costi per i pazienti sono molto più elevati.
Nel 2021 le strutture ospedaliere private accreditate erano 995 (quasi raddoppiate in 10 anni), pari al 48,6% del totale. Le strutture private di specialistica ambulatoriale sono il 60,4% del totale.
Le carenze si aggravano
A causa delle attese troppo lunghe per analisi e cure nelle ASL, il 34,4% delle famiglie con basso reddito, deve ricorrere alle cure a pagamento (del settore privato puro o intramoenia). Per gli altri redditi, compresi i medio-bassi, vi ricorre oltre il 40%. Per evitare queste attese, ci sono circa 600mila migranti sanitari (quasi un terzo dei pazienti) che vanno in altre regioni. Altri, più di un quarto, si spostano per avere prestazioni migliori. Emilia e Lombardia hanno un saldo attivo di ca. 58mila unità ciascuna, mentre tutto il Sud più Abruzzo, Marche e Liguria hanno un saldo passivo. I posti letto per 100mila abitanti sono in Italia 314, in Francia 590, Ungheria e Romania 700, Germania 800. In soli due anni (2020-2022) il Ssn italiano ha perso 32.500 posti-letto.
C’è una grande fuga del personale all’estero o nel privato a causa dei turni massacranti e degli stipendi troppo bassi. Dal 2012 al 2021 i finanziamenti del nostro Ssn sono aumentati del 6,4%, ma in Spagna del 21,2, in Francia del 24,7, Germania del 33 per cento. Dal 2004 vige in Italia il tetto di spesa che impedisce nuove assunzioni nel Ssn. Perciò buona parte del personale è assunto tramite cooperative, che ottengono appalti dalle Asl con bandi triennali e pagano stipendi molto bassi. A volte si tratta di false cooperative che spariscono senza pagare Tfr e contributi. Rispetto al 2015, abbiamo 15mila specialisti in meno. Ci sono stati ripetuti scioperi dei medici nel 2023, con risultati scarsi. Gli infermieri in Italia, sono solo 6,2 per mille abitanti, (la media UE è 9,1), con profonde disparità fra Nord e Sud.
I medici del privato lavorano la metà e guadagnano fino a quattro volte rispetto al pubblico. Un medico pubblico fa lo straordinario a 60 euro l’ora, un medico a gettone guadagna invece fra 140 e 180 euro (prezzi fissati dalle loro cooperative). Dunque nel pubblico si assume poco personale per risparmiare, ma poi le Asl devono ricorrere ai medici a gettone spendendo molto di più.
L’Italia spende il 6,7% del PIL per la sanità, ma la Spagna il 7,8, Francia 10,3, Germania 10,9. Oggi mancano 30mila medici e 320mila infermieri. L’Italia spende per la sanità ca. 4.300 $ per abitante, ma la Francia ne spende 6.500, e la Germania più di 8mila.
I pronto soccorso sono intasati perché la famiglie ricorrono ad essi per risparmiare e perché manca la medicina territoriale. Ma il personale è ancora più scarso che negli altri settori e il lavoro è più pesante e difficile. Le specializzazioni per l’emergenza, anestesia e rianimazione sono poco valutate e sottoposte ad alti ritmi di lavoro e al rischio di aggressioni da parte dei pazienti.
Negli ultimi 10 anni, sono stati chiusi 61 dipartimenti di emergenza, 35 centri di rianimazione, 113 pronto soccorso e 11 ospedali. Le attese in barella spesso durano diversi giorni. Il 31,6% del personale denuncia di aver subito aggressioni dagli utenti.
(La seconda parte uscirà il 13 maggio)